Su di me!

Premio Antonio Fogazzaro 2018: Il rumore dei ricordi!

Per la sezione “Il baule della memoria” questo è il racconto che ho presentato e che è arrivato al terzo posto. La mia valle vista con occhi di altri tempi!

Camminando per i vicoli dei paesini che sorgono sul lago e sulle nostre splendide montagne non è difficile imbattersi in angoli così caratteristici che non posso fare a meno di fermarmi ad ammirare. Tanti sono i dettagli che mi fanno pensare che il tempo si sia fermato e a volte mi aspetto di vedere passare persone di un mondo antico, perdendo un po’ il senso della realtà. In alcuni piccoli abitati ancora capita di ritrovarsi a condividere la strada con capre, mucche, pecore ed asinelli. Può essere un intralcio per chi va troppo di fretta, ma per me è un bel tuffo nel passato; ogni volta mi ritrovo a pensare che la vera bellezza spesso è nascosta nelle cose più semplici, ma solo se si hanno occhi capaci di vedere!

Durante i miei cammini, svoltando agli angoli delle strade mi è successo di salutare delle persone e… scoprire che erano invece dei magnifici affreschi. Un anziano seduto su una panca che sorride guardando qualcosa, una donna davanti al focolare in cui è appesa una pügnàta (pentola), tre uomini sulla soglia di casa. Ma quello che più mi ha colpito è un affresco che si trova tra le case di San Bartolomeo in Val Cavargna: rappresenta un gruppo di cinque donne intente a filare e a lavorare la lana, e tra di loro è dipinta una bambina.

Questa immagine, difficile da dimenticare, mi porta a pensare a come fosse il paese quando quella raffigurata era la realtà e per un attimo immagino di vivere una giornata in Valle durante gli anni ’50.

La prima cosa che percepisco sono i suoni. Nessun rumore di automobili, televisioni, utensili elettrici; in cambio un gran chiacchiericcio di donne e uomini che lavorano o che all’osteria urlano, giocando a carte o alla morra. Il chiocciare delle galline che liberamente zampettano tra i vicoli, e altri versi di animali sono un piacevole sottofondo che mi accompagna. Più in lontananza sento il fruscio della falce che qualcuno sta usando per tagliare un prato e il colpo secco dell’ascia che si abbatte su un ciocco che più tardi poi accenderà il caminetto. Sempre presente è lo sciacquio dell’acqua nelle vicinanze dei lavatoi, e il canto delle donne che così allietano questi momenti di grande fatica. Il canto è ricorrente tra i valligiani, è un modo di aggregarsi nei diversi frangenti della loro quotidianità; durante la fatica nei campi, nelle ore di svago all’osteria, nei momenti di festa così come in quelli di lutto e dolore.

Tutto ad un tratto nelle strade si sente un simpatico fracasso! Sono i bambini che tutti insieme stanno correndo per andare a scuola, con gli zoccoletti di legno ai piedi e le loro grida giocose. Sulle spalle portano una semplice cartella di legno o di stoffa, che contiene poche cose: due quaderni, uno a righe e uno a quadretti, un quaderno di lettura ed un sussidiario. Ad ogni studente infine non mancano il calamaio e la penna con il pennino; l’inchiostro con il suo profumo avvolgente riempie ogni aula della scuola e rimane in modo indelebile nei ricordi dei bambini.

Anche alla vista tutto mi appare molto diverso; niente asfalto, niente case in muratura; ai miei occhi tanti vicoli sterrati e case in sasso, ben addossate le une alle altre per ripararsi dal freddo che ogni inverno arriva a mettere a dura prova gli abitanti di tutta la Valle. Scale e terrazzi sono in legno, e i camini quasi tutto l’anno sono fumanti. Incastonati tra una casa e l’altra ci sono piccoli orticelli e non mancano le stalle e i pollai.

Tra un vicolo e l’altro mi fermo per affacciarmi ad una bottega: quel che vedo sono grandi credenze con tanti cassetti, ognuno dei quali contiene vari prodotti che sono venduti al peso, consegnati in piccoli cartocci o direttamente in contenitori che ognuno porta da casa; anche il necessario per l’economia domestica si vende sfuso. Per me è molto affascinante vedere come ogni cosa abbia un grande valore e niente sia sprecato.

Il tempo è passato veloce, mi accorgo a malapena che è già pomeriggio. Mentre proseguo un gruppo di ragazzetti mi corre attorno e giocando si dirige verso la latteria, ognuno con il suo piccolo tülin (contenitore di latta con il coperchio) per andare a comprare il latte. Curiosa li seguo e vedo che l’attività nella latteria è frenetica; qui il latte arriva due volte al giorno dalla mungitura delle mucche e viene lavorato per produrre burro, ricotta e formaggio. In estate alcune delle latterie della Valle chiudono e trasferiscono la loro produzione sui monti e negli alpeggi.

In queste botteghe, così come tra le strade, non posso non accorgermi dei profumi che mi circondano, e che sicuramente variano da stagione a stagione. L’inverno me lo immagino con l’odore acre del fumo dei camini che prevale, sia nell’aria che nelle case; in autunno, dopo la raccolta le castagne vengono portate alla grà per essere essiccate e l’aroma che si diffonde per le vie è molto particolare. L’estate è il profumo del fieno che viene tagliato e messo nei fienili per l’inverno.

In paese periodicamente si mettono in funzione i forni privati, che possono essere usati dalle varie famiglie a turno, sprigionando per le stradine il profumo più buono del mondo, quello del pane. Il momento della panificazione è molto importante, e il prodotto che si ottiene deve poter essere conservato a lungo. Le donne, maestre di quest’arte, nelle loro madie (piccoli cassoni in legno) conservano una parte di lievito madre che tengono da parte dalla produzione del pane per la volta successiva.

Mi affaccio alla porta di una casa; quella che vedo è la cucina, che nonostante il suo mobilio povero rappresenta la parte più importante dell’abitazione; qui tutta la famiglia si ritrova al caldo a condividere la cena. Sul caminetto qualcosa sta cuocendo, di sicuro è l’immancabile polenta che rappresenta il cibo principale di ogni pasto. Al mattino si mangia con il latte, a pranzo tutti se la portano nei campi per essere consumata fredda. A volte può essere accompagnata da un po’ di formaggio, che viene racchiuso all’interno di una pallina di polenta e si lascia ad abbrustolire tra la brace del focolare. Mentre per il pane si usa solo farina di segale, per fare la polenta si mischia anche un po’ di farina di mais, i cui grani vengono importati dalla pianura.

La segale è il cereale che meglio si adatta ad essere coltivato tra gli 800 e i 1200 metri di quota; si semina in due diversi periodi dell’anno per poter avere due raccolte. Una volta matura la spiga si raccoglie e si lascia ad essiccare; i semi, separati dal resto della pianta, si portano in uno dei mulini sul torrente Cuccio per essere macinati. I mulini sono strutture di utilità comune, gestite da alcune famiglie che per il loro lavoro vengono ricompensate con una parte del prodotto. A Cavargna la segale si macina al mulino del Barba Pedro, a San Bartolomeo invece ci si reca al Mulino del Desiderio, di proprietà della famiglia Pozzi. A volte si fa macinare tutto il seme del cereale ottenendo farina integrale, a volte invece viene separata la parte più esterna, ovvero la crusca, per essere data in pasto agli animali.

Siccome proprio nulla viene mai buttato, gli steli della segale fatti essiccare e raccolti ordinatamente in covoni vengono conservati nei fienili; serviranno poi per il rifacimento dei tetti di paglia delle cascine e delle stalle.

Oltre alla segale, pochi altri sono i prodotti che si prestano ad essere coltivati in queste aspre zone; i campi più grandi a rotazione si usano per la produzione del cereale e delle patate. Nei piccoli orticelli invece si coltivano verze, barbabietole, piselli, fagioli ed insalata, che spesso le donne usano per preparare zuppe e minestre la sera. Sulla tavola si può trovare qualche noce o castagna ma nulla di più.

Mentre sono ancora sull’uscio della casa, sento delle voci che si avvicinano; sono un gruppo di donne che, con il passo ormai stanco, rientrano da una giornata di fatica portando sulle spalle la tipica gerla. Le valligiane sono una grande risorsa, aiutano gli uomini anche nei lavori pesanti senza lasciarsi spaventare dalla fatica. Spesso i mariti si spostano in Francia o Svizzera per lavorare e tornano a casa poche volte l’anno, quindi le donne devono provvedere a mandare avanti la famiglia da sole.

Usano la gerla per trasportare le cose più diverse: la legna per il camino, il letame per fertilizzare i campi, il carbone e talvolta anche bambini e piccoli animali. Per il trasporto del fieno invece si usa il berlansc, una gerla con l’intreccio rado che consente di trasportare quantità di erba maggiori.

Oggi queste donne sono partite di buon ora, quando ancora il sole non era sorto, per recarsi in pianura a vendere burro, formaggi e uova; a volte al ritorno nelle loro gerle portano altri prodotti che non si possono trovare qui in Valle. Rientrano a casa e, dopo una cena frugale con il resto della famiglia, si ritrovano di nuovo con le altre donne; mentre gli uomini passano un po’ di tempo all’osteria oppure aggiustano qualche attrezzo, loro non rimangono inoperose, ma approfittano per fare qualche rammendo o per lavorare la lana.

Infatti, tra gli animali che si allevano in valle non mancano le pecore, molto utili sia per la produzione di carne di agnello da vendere, sia per la tosatura della lana che avviene due volte l’anno. Una parte della lana è di bassa qualità e viene usata per imbottire cuscini e materassi; la parte che invece viene tosata sulla schiena è ideale per essere filata essendo di alta qualità e quindi si usa per produrre indumenti e maglieria. Per ottenere un gomitolo di lana dal prodotto grezzo ci sono molti passaggi che comprendono la cardatura e la filatura. Questi compiti sono svolti principalmente dalle ragazze o dalle donne anziane, che hanno più tempo a disposizione; per non sporcare la lana restano in casa o appena fuori sul cortile. Infine con grande abilità lavorano il filo di lana con gli aghi o con l’uncinetto e dalle loro mani escono dei piccoli capolavori.

A questo punto finalmente anche io mi siedo tra queste donne meravigliose, curiosa di ascoltare le storie che stanno raccontando. Questa sera il clima in paese non è sereno, tutti sono preoccupati perché in nottata alcuni ragazzi partiranno con ai piedi i pedüü (scarpe di pezza per non fare rumore) e sulle spalle la loro bricolla (grande zaino rettangolare) alla volta della Svizzera. Nonostante la guerra sia ormai finita, la povertà in questi paesini è ancora tanta, quindi il contrabbando è un’attività molto praticata per potersi procurare alcuni prodotti senza pagare le tasse doganali. Le merci scambiate sono diverse di volta in volta: stoffa, sigarette ed alimenti molto ricercati come zucchero, riso e caffè. Per arrivare fino alla frontiera si dovranno arrampicare tra gli impervi sentieri della Val Cavargna, senza nessuna luce a guidarli; ad ogni passo dovranno essere in ascolto per non finire braccati dai finanzieri o dalle guardie svizzere che sono sempre vigili e pronti a sparare. Ad aiutarli in caso di difficoltà ci sono i pastori, favorevoli a fornire cibo e nascondiglio agli sfrusadoo, siano essi uomini o donne, che mettono a rischio la propria vita per necessità.

Come accade ogni volta che qualcuno deve partire, alla memoria tornano tutti gli incidenti che sono avvenuti durante le azioni di contrabbando. Quante volte gli sfrosadoo hanno dovuto abbandonare il loro carico per provare a scappare dagli spari, correndo sui sentieri scoscesi senza ben sapere dove andare; e quante volte purtroppo è capitato di scivolare in un dirupo o di non riuscire a sfuggire alle guardie.

In particolare questa sera una delle donne seduta qui con noi sta raccontando un incidente avvenuto sulle nostre montagne, in cui perse la vita anche un contrabbandiere di Cavargna; purtroppo questa attività, sempre molto pericolosa, non si ferma in nessuna stagione. Successe che in inverno un gruppo di contrabbandieri fu travolto da una valanga mentre attraversava un ripido costone innevato nei pressi della chiesetta di Sant’Amate; alcuni riuscirono a salvarsi ma ben 6 rimasero sepolti dalla neve.

Le donne affrontano tutte queste preoccupazioni nell’unico modo che conoscono: con la loro umiltà recitano il rosario e si affidano completamente alla preghiera. Le persone di questa valle, così provate dalla povertà, tra le loro poche certezze hanno quella della fede; la vita segue i ritmi imposti dall’agricoltura e dalla pastorizia, ed è cadenzata dalle ricorrenze religiose, tenute in grande considerazione da tutti. La Chiesa è un luogo di ritrovo, di preghiera e anche di riparo durante le calamità e l’unico modo di comunicare velocemente anche da un paese all’altro è il suono delle campane. Suonano a festa quando è il momento di santificare le feste, suonano a lutto quando c’è da raccogliersi attorno al dolore di qualcuno, e diffondono l’allarme quando c’è un’emergenza e serve l’aiuto di tutta la popolazione. Per i valligiani la semplicità è importante, i piccoli valori che ogni giorno mettono in pratica li rendono speciali; non hanno nulla eppure non si tirano mai indietro quando qualcuno è in difficoltà.

Ormai è sceso il buio e domani sarà un’altra giornata di duro lavoro per tutti. Le donne richiamano i bambini che ancora giocano per le strade, si salutano e tornano alle proprie case. Anche io mi alzo, sperando di poter tornare a sentire altre storie del tempo passato, quando le difficoltà erano davvero grandi ma l’unione tra le persone era qualcosa di unico; tutti insieme riuscivano ad affrontare qualsiasi avversità.

Piano piano il mondo che ho davanti non è più in bianco e nero ma sta tornando a colori, i prati spariscono e al loro posto appare l’asfalto; i rumori non sono più una dolce melodia ma creano disturbo, e la gente non si riunisce in compagnia ma rimane in casa, circondata da tanta tecnologia che fa apparire tutto il resto superfluo.

Do un’ultima occhiata alla Olga e alla Peppa, due delle donne raffigurate nel dipinto e che realmente sono esistite, poi mi rimetto sul mio cammino e mentre mi allontano sento già un po’ di nostalgia per il fascino di un mondo ormai perduto!

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